On. Cova: “L’ottimo lavoro del Ministro Martina sul latte sta facendo agitare qualche politico”

 

“Per oltre trent’anni si è parlato di indicizzazione del prezzo del latte, ma solo questo Governo e questa maggioranza sono stati capaci di farla diventare legge. Stupisce che chi è al vertice di Regione Lombardia da oltre 20 anni si accorga solo ora dell’importanza dell’indicizzazione, mentre negli anni precedenti, quando gli allevatori prendevano 0,30 centesimi di euro, faceva finta di niente”, lo dichiara l’on Paolo Cova, parlamentare del Pd e componente della XIII Commissione Agricoltura della Camera, dopo l’attacco dell’assessore regionale lombardo al Ministro Martina sul tema del latte.

“Certo, vedere che c’è un Ministro che per la prima volta in Italia investe 108 milioni di euro per il comparto latte, che interviene in modo strutturale sul settore istituendo l’interprofessione, mette mano alla volatilità del latte regolando il contratto con una scadenza annuale, sta lavorando direttamente sul prezzo al produttore con un intervento sull’Iva in legge di stabilità, sta facendo agitare qualche politico”, incalza Cova.

Secondo il quale “forse questa agitazione nasce dal fatto che il politico in questione aveva votato, nel 2009, la legge 33, la famosa legge Zaia, che ha tolto 70 milioni di euro agli allevatori per quest’anno”.

 

Roma, 5 novembre 201 5

 

News dal Parlamento

L’omicidio stradale è un reato

Importante approvazione questa settimana alla Camera dove abbiamo dato il via libera, in seconda lettura e ora torna al Senato, alla legge che introduce i due nuovi reati colposi di omicidio stradale e di lesioni personali stradali. Si tratta di un provvedimento atteso da tempo da cittadini e associazioni, al quale nei prossimi mesi verranno affiancate iniziative sull’educazione stradale, l’aumento dei controlli e la manutenzione stradale e della segnaletica.

Tre i livelli di pena per l’omicidio stradale, corrispondenti alla gravità della condotta del conducente: da 8 a 12 anni di carcere se l’omicidio è commesso in stato di ubriachezza grave (con un tasso superiore a 1,5 grammi per litro) o sotto effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope; da 5 a 10 anni di carcere se l’omicidio è commesso in uno stato di ubriachezza (con un tasso tra 0,8 e a 1,5 grammi per litro) e in presenza di violazioni stradali (eccesso di velocità, guida contromano, il mancato rispetto del semaforo, sorpassi e inversioni a rischio); da 2 a 7 anni se l’omicidio è commesso in violazione del codice della strada.

Specularmente sono tre i livelli di pena per le lesioni personali. Nel caso in cui il conducente sia ubriaco o drogato le pene vanno da 3 a 5 anni di carcere per lesioni gravi e da 4 a 7 per quelle gravissime. Nel caso in cui il conducente abbia nel sangue un tasso tra 0,8 e a 1,5 grammi di alcool per litro o l’incidente sia causato da manovre pericolose scatta la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 3 anni per lesioni gravi e da 2 a 4 anni per le gravissime. Nel caso di violazione del codice della strada (senza alterazioni psicofisiche) resta la pena prevista attualmente.

Tra le aggravanti, se il conducente fugge dopo l’incidente la pena aumenterà da un terzo a due terzi, e non potrà comunque essere inferiore a 5 anni per l’omicidio e a 3 anni per le lesioni.

 

Nuove regole sui fitosanitari

Diverse le mozioni che abbiamo approvato questa settimana, ma una la ritengo particolarmente significativa perché interviene in materia di autorizzazione alla commercializzazione e all’utilizzo dei prodotti fitosanitari.

Su questo tema abbiamo impegnato il Governo a dare piena attuazione agli atti e alle misure previste dal piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e dal relativo decreto legislativo; a promuovere il costante dialogo tra tutti i soggetti chiamati ad applicare il piano di azione nazionale al fine di garantire uniformità nelle disposizioni attuate sul territorio italiano; ad aggiornare i programmi di monitoraggio dei residui degli agrofarmaci nelle acque e nell’ambiente, tenendo conto delle sostanze immesse sul mercato in anni recenti; a promuovere, anche in sede europea, approfondimenti scientifici sulla tossicità delle miscele chimiche e sugli effetti della poliesposizione chimica; a porsi l’obiettivo di ridurre sempre più nei prossimi anni l’utilizzo delle autorizzazioni eccezionali di agrofarmaci; a favorire in modo diffuso l’adozione della gestione integrata delle colture, allo scopo di ragg iungere l’obiettivo di uno sviluppo agricolo sostenibile e di ridurre sempre più nel tempo l’utilizzo di agrofarmaci; a definire al più presto una lista di soggetti destinatari della formazione, comprendente non solo gli utilizzatori professionali, ma anche gli utilizzatori non professionali e i distributori di agrofarmaci, in considerazione del fatto che una formazione costante è essenziale per il loro uso efficace e responsabile ed è un requisito indispensabile per garantire l’applicazione delle buone pratiche agricole; ad individuare procedure semplificate che consentano una rapida concessione dell’estensione d’uso dei prodotti già registrati alle colture minori, ferma restando la tutela ambientale e della salute umana e animale; a promuovere ed attuare tutte le iniziative di competenza affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente in materia di utilizzo di prodotti fitosanitar i e dell’attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell’ambiente; a porre in essere ogni iniziativa di competenza affinché le leggi attualmente in vigore in materia di prodotti fitosanitari siano rispettate in tutte le loro parti, indicando con maggior chiarezza chi siano le autorità preposte al controllo sulle sostanze utilizzate e al rispetto della normativa vigente, nonché i relativi ruoli e responsabilità.

 

Più cooperazione, meno immigrazione

Tra le mozioni approvate, anche quella riguardante le iniziative per rafforzare la cooperazione allo sviluppo a favore dei Paesi africani, anche nella prospettiva della riduzione dei flussi migratori.

Con quest’atto abbiamo impegnato il Governo a elaborare una strategia specificatamente volta allo sviluppo e al co-sviluppo dei Paesi africani, a partire da quelli dai quali provengono i principali flussi migratori verso l’Italia, auspicabilmente nella forma di un libro bianco da inserire nel documento di programmazione triennale della cooperazione che consideri in modo integrato gli aspetti relativi allo sviluppo economico, alle relazioni commerciali, alla finanza, alle riforme istituzionali, ai conflitti, alle migrazioni, all’impiego dei fondi per la cooperazione, alla rete di relazioni internazionali e alle condizioni geopolitiche regionali.

E nel contempo l’impegno deve essere di condividere in sede di Unione europea questa strategia, chiedendo che l’intera Ue metta in atto una politica di medio-lungo periodo volta anche a ridurre l’impatto strutturale dei fenomeni migratori dal continente africano verso l’Europa. Inoltre, si vuole dare seguito, già con il prossimo disegno di legge di stabilità, all’impegno di incrementare i fondi per la cooperazione internazionale allo sviluppo, continuando a stimolare gli investimenti privati nei Paesi individuati come prioritari, lavorando al tempo stesso per favorire le condizioni di stabilità politico-istituzionale indispensabili per garantire la necessaria sicurezza per gli investitori, e rafforzando l’interlocuzione con l’Unione africana.

 

Partecipate: serve trasparenza

Assicurare maggiore trasparenza e partecipazione nelle procedure di nomina dei membri dei consigli di amministrazione delle società partecipate dallo Stato e da altri soggetti pubblici è, poi, lo scopo della terza mozione approvata questa settimana.

In questo caso, si parte da una considerazione: la presenza di società partecipate costituite per la soddisfazione di interessi pubblici è un fenomeno caratteristico dell’economia italiana, che si è accentuato in maniera considerevole nell’ultimo decennio soprattutto a livello locale. L’intenzione del Governo è però quella di procedere al riordino delle partecipazioni pubbliche e al riassetto complessivo della materia.

Perciò, al fine di tutelare il perseguimento degli interessi pubblici, la corretta gestione delle risorse e la salvaguardia dell’immagine del socio pubblico, è necessario assicurare la massima trasparenza e qualità delle procedure di designazione dei componenti degli organi sociali, garantendo il rigoroso rispetto dei requisiti di onorabilità e di professionalità degli amministratori.

Per questo la mozione impegna il Governo a promuovere meccanismi nella scelta dei consigli di amministrazione delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni, tali da garantire l’assenza di conflitti di interessi e la massima trasparenza delle procedure di selezione, confermando e implementando i criteri sinora adottati nella formazione dei consigli di amministrazione delle società partecipate dallo Stato e da altri soggetti pubblici.

 

Semplifichiamo l’asilo

L’ultima mozione approvata questa settimana impegna, invece, il Governo ad adottare iniziative per istituire, nei tribunali ordinari, sezioni specializzate per i procedimenti giurisdizionali in materia di immigrazione.

La premessa è che i quotidiani, drammatici, fatti di cronaca degli ultimi mesi, e contestualmente i dati riportati da centri studi e di analisi nel settore dei flussi migratori, hanno concordemente messo in luce come quella che fino a ora è stata considerata come un’eccezionale ondata migratoria è in realtà destinata non solo a consolidarsi nei numeri e nei flussi, ma anche a trasformarsi da evento a carattere emergenziale in un avvenimento che sarà costante per molti anni a venire.

Nonostante l’aumento delle commissioni territoriali, che hanno consentito così una netta riduzione dei tempi necessari a vagliare le domande di asilo, gli ingenti flussi in arrivo impongono un ulteriore sforzo in termini economici e di personale qualificato atti a garantire una gestione adeguata del fenomeno.

Al Governo abbiamo chiesto perciò un impegno a valutare l’opportunità di introdurre ulteriori meccanismi per velocizzare tutte le procedure relative all’esame delle domande inerenti al riconoscimento dello status e all’accoglienza dei rifugiati per la parte relativa alle commissioni territoriali, anche valutando l’opportunità di un ulteriore potenziamento; di assumere iniziative per istituire presso alcuni tribunali sezioni specializzate per i procedimenti di protezione internazionale, per organizzare una formazione specifica del personale e per introdurre ulteriori fattori di semplificazione dei procedimenti giurisdizionali.

 

La carne pericolosa è oltre oceano

Ha fatto gran clamore l’annuncio dell’Organizzazione mondiale della sanità sui cibi cancerogeni, che mette al bando in particolare le carni, insaccate, lavorate e in generale rosse. Dal mio punto di vista ancora una volta ci troviamo di fronte a una notizia che sta solamente allarmando i consumatori. Anche in passato siamo stati travolti da queste informazioni per poi scoprire che non erano così allarmistiche. Ad esempio, dopo anni di preoccupanti annunci, abbiamo scoperto che la Bse non veniva trasmessa alle persone e non era una zoonosi. Stesso discorso per l’influenza aviaria che poi si è scoperto non avere nessuna correlazione con la salute delle persone.

Invece mi sembra opportuno ricordare ,a chi fa queste ricerche, che in alcuni Paesi si trattano gli animali da carne con farmaci anabolizzanti e gli Usa ne sono un esempio. Questo sì che è un vero problema: sarei proprio curioso di leggere ricerche scientifiche che mettano a confronto gli esiti sulla salute delle persone che si alimentano con carni estrogenate e di quelle che mangiano carni non estrogenate.

Forse l’aumento dei tumori proviene dagli estrogeni somministrati agli animali e non invece dalla carne rossa. Bene ha fatto in tutti questi anni l’Ue a chiudere il mercato europeo all’importazione di carne trattata con anabolizzanti e a vietarne l’uso nelle stalle europee, perché prima viene la salute dei cittadini rispetto alle rese economiche e alla vendita degli anabolizzanti.

Paolo Cova

On. Cova: “Il vero rischio per la salute umana? Non le carni rosse, ma gli animali trattati con anabolizzanti”

“Ancora una volta ci troviamo di fronte a una notizia che sta allarmando i consumatori. Anche in passato siamo stati travolti da queste informazioni per poi scoprire che non erano così allarmistiche”, dice senza mezzi termini l’on. Paolo Cova, parlamentare del Pd, a proposito del gran clamore che sta suscitando in queste ore la presa di posizione dell’Oms sui cibi cancerogeni e in particolari sulle carni, insaccate, lavorate e in generale rosse.

 

E, da veterinario buiatra, porta degli esempi concreti: “Dopo mesi di preoccupanti annunci, abbiamo scoperto che la Bse non veniva trasmessa alle persone e non era una zoonosi. Che dire poi dell’influenza aviaria? Stesso allarmismo, nessuna correlazione con la salute delle persone ma nessuna smentita dopo il danno provocato”.

 

Per Cova i rischi sono altrove: “Forse sarebbe opportuno ricordare a chi fa queste ricerche che in alcuni Paesi, e gli Usa ne sono un esempio, si trattano gli animali da carne con farmaci anabolizzanti  – ricorda –. Questo sì che è un vero problema: sarei proprio curioso di leggere ricerche scientifiche che mettano a confronto gli esiti sulla salute delle persone che si alimentano con carni estrogenate e di quelle che mangiano carni non estrogenate”.

 

Perché il timore per il parlamentare veterinario è “che ​forse ​l’aumento dei tumori provenga dagli estrogeni somministrati agli animali e non invece dalla carne rossa. Bene ha fatto in tutti questi anni l’Ue a chiudere il mercato europeo all’importazione di carne trattata con anabolizzanti e a vietarne l’uso nelle stalle europee, perché prima viene la salute dei cittadini rispetto alle rese economiche e alla vendita degli anabolizzanti”.

 

Roma, 28 ottobre 2015

News dal Parlamento

Rai, di più per tutti

Questa settimana, alla Camera, abbiamo approvato la nuova legge sulla riforma della Rai e del servizio pubblico radiotelevisivo. In realtà, il provvedimento si limita agli aspetti di direzione e gestione, la cosiddetta governance, e non riguarda l’intero sistema radiotelevisivo. L’obiettivo è costruire il servizio pubblico del futuro, ovvero porre le condizioni per una governance che accompagni la trasformazione della Rai da broadcaster a media company, capace di essere presente e produrre contenuti per tutte le piattaforme, che sappia tenere conto delle enormi trasformazioni che hanno attraversato il sistema dei media audiovisivi e radiofonici di questi anni, con una particolare attenzione all’innovazione tecnologica.

In particolare, nella legge grande spazio viene dato alla formulazione delle funzioni dell’amministratore delegato, perché la prima condizione per valorizzare il ruolo industriale della Rai è quella di dotarla di una guida chiara, riconosciuta, trasparente, efficiente, responsabilizzata: un capo azienda che sia in grado di prendere le decisioni e di essere chiamato a risponderne. Serve una guida manageriale vera, come quella di ogni altro player internazionale.

Non si tratta di regolare la presenza di trasmissioni più o meno interessanti, in quanto il tema del servizio pubblico radiotelevisivo si inquadra nell’ambito dell’articolo 21 della Costituzione che prevede il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero e, dunque, il diritto di libera espressione richiede la necessità del pluralismo nell’informazione. Il servizio pubblico radiotelevisivo è concepito come strumento per realizzare questi principi.

 

La cultura è un servizio essenziale

Ricorderete sicuramente la notizia della ritardata apertura al pubblico del Colosseo, avvenuta in un giorno in cui si teneva un’assemblea sindacale dei suoi lavoratori, regolarmente convocata e comunicata. Tuttavia, cadeva in un periodo di alta stagione turistica, provocando, oltre ai disservizi per gli utenti, anche un danno all’immagine del Paese, già verificatosi in passato in occasione di un analogo caso accaduto a Pompei. Ma proprio il fatto che queste assemblee fossero regolarmente convocate ha messo in luce la necessità di modificare la normativa che ha mostrato evidenti lacune nella parte in cui non permette la fruizione di un bene culturale, fatto rilevante in un Paese come il nostro che ospita il maggior numero di siti Unesco e di flussi turistici.

Attualmente i custodi e chi vigila sulla sicurezza dei luoghi d’arte rientrano fra i servizi pubblici essenziali, tuttavia, con questo decreto anche le altre figure che lavorano presso gli stessi luoghi, saranno equiparate.

Con l’approvazione del decreto infatti, si regola il diritto dei lavoratori in primis, ma anche quello dei cittadini fruitori del bene che rappresenterà un diritto costituzionalmente garantito. Da oggi l’apertura al pubblico di musei, istituti e luoghi di cultura pubblici rientra nei servizi pubblici essenziali. Il diritto allo sciopero è sempre garantito, al pari dell’istruzione, della sanità o dei trasporti. Dunque, le modalità di sciopero in quest’ambito d’ora in avanti saranno soggette a specifiche disposizioni, le stesse applicate nei settori del trasporto pubblico o del servizio sanitario, e riguarderanno tutti i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici e i complessi monumentali pubblici: obbligo di preavviso di almeno 10 giorni; definizione delle prestazioni minime garantite; comunicazione scritta della durata, della modalità di attuazione e delle motivazioni dello sciopero.

 

Genetica in stalla, serve più controllo

Dati genetici, produttivi, qualitativi e riproduttivi messi a disposizione delle singole aziende agricole. Fine della commistione controllore controllato fra chi raccoglie i dati e i centri genetici che poi commercializzano materiale seminale. Collaborazione tra le figure professionali presenti in stalla per avere consulenza e assistenza tecnica con un veterinario e agronomo aziendale che possano dare rilancio alla produzione agricola italiana. È questo che ho chiesto, al termine delle audizioni in Commissione Agricoltura della Camera con i soggetti interessati, nell’ambito dell’esame del disegno di legge disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo, agroalimentare, della pesca e dell’acquacoltura.

la mia proposta scaturisce dal fatto che in Italia, con circa 11 milioni di tonnellate di latte prodotti e circa 1.700.000 bovine da latte presenti, abbiamo una produzione per capo di circa 63 quintali, che è più bassa rispetto ad altre nazioni europee che li allevano al pascolo, quindi rendono meno soldi con spese maggiori per l’alimentazione.

Dunque, le capacità di selezione genetica nel nostro Paese vanno ampiamente migliorate, ed è necessario rimettere mano al settore zootecnico per una diversa organizzazione del lavoro. Come? I dati devono essere messi a disposizione delle aziende di modo che la consulenza aziendale abbia conoscenza dei dati reali. Secondo: deve finire questa sovrapposizione di figure tra controllore e controllato, per cui chi fa la selezione genetica e certifica i dati non può appartenere alla stessa associazione. Infine, coloro che collaborano in stalla e aiutano gli allevatori nelle loro scelte devono fare squadra. È l’unico modo per avere un controllo di quanto succede.

 

Quote latte: non c’entra l’algoritmo

L’ordinanza di archiviazione del Gip sul caso Agea e quote latte dice​ in modo chiaro che non è una questione di algoritmo. Questo certifica che​ il cambio di algoritmo non ha contribuito a modificare la quota latte italiana, in quanto la produzione totale viene calcolata con i Modelli L1 e controllata da Agea. Il dubbio, che ho segnalato più volte, anche in Aula e con interpellanze, è che non ci sia correlazione tra le produzioni delle singole stalle e la reale presenza di bovine da latte.

Ma allora, i Modelli L1 sono giustificati da una presenza reale di capi bovini? Un esempio sono le 30.000 vacche da latte che spariscono regolarmente ogni anno in 4 regioni italiane quando in altre regioni, con il triplo di capi bovini, se ne smarriscono solo 1200. E poi: queste vacche servono a giustificare le produzioni e prendere i contributi Pac ma non esistono e devono essere denunciate come smarrite? Sono domande importanti, se si pensa che anche la Corte europea ha condannato l’Italia, con sentenza del 2 dicembre 2014, per mancati controlli sulle produzioni di latte bovino in diverse regioni. Basta verificare il numero dei parti annuali di bovine da latte per avere idea di quanti capi realmente producano latte in Italia e quanto latte possano realmente produrre. Perché senza vacche non si fa il latte e non basta un Modello L1.

 

Puntiamo sulle fonti rinnovabili

Ho sottoscritto un’interpellanza urgente, al Ministro dello Sviluppo economico, sul tema delle energie rinnovabili e sull’opportunità di insistere nella ricerca, spesso impattante, di combustibili fossili.

Al Ministro chiediamo se non ritenga doveroso escludere dalla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza finalizzata alla valorizzazione di risorse energetiche nazionali, la prospezione e il sondaggio di idrocarburi liquidi e gassosi in mare e in terra; se non ritenga necessario prevedere la sospensione delle attività sia di esplorazione che di ricerca in zone ad elevato rischio sismico, vulcanico, tettonico, nonché a prevedere il blocco del rilascio di autorizzazioni in zone di particolare ripopolamento ittico; se non ritenga opportuno prevedere il blocco del rilascio di future autorizzazioni sia di esplorazione che di ricerca in prossimità di aree di particolare interesse turistico; se non ritenga necessario e urgente integrare e modificare in tempi brevi la Strategia energetica nazionale, al fine di promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili, riducendo, nel contempo, la produ zione di energia da fonti fossili.

Paolo Cova

On. Cova: “ Quote latte: senza vacche non c’è produzione e non la fa certo l’algoritmo, usato per giustificare quantità che non c’erano ”

L’ordinanza di archiviazione del Gip sul caso Agea e quote latte dice​ in modo chiaro che non è una questione di algoritmo. E gli allevatori che hanno sforato devono pagare le multe.

 

Sull’annosa questione interviene l’on. Paolo Cova, parlamentare del Pd: “La sentenza del Giudice per le indagini preliminari certifica che​ il cambio di algoritmo non ha contribuito a modificare la quota latte italiana in quanto la produzione totale viene calcolata con i Modelli L1 e controllata da Agea. Il dubbio, che ho segnalato più volte , anche in Aula e con interpellanze, è che non ci sia correlazione tra le produzioni delle singole stalle e la reale presenza di bovine da latte”.

 

Le domande che pone Cova sono precise: “ I Modelli L1 sono giustificati da una presenza reale di capi bovini? Un esempio sono le 30.000 vacche da latte che spariscono regolarmente ogni anno in 4 regioni italiane quando in altre regioni con il triplo di capi bovini se ne smarriscono solo 1200. Queste vacche servono a giustificare le produzioni e prendere i contributi P ac ma poi non esistono e devono essere denunciate come smarrite? ”.

 

E aggiunge che “l a stessa Corte europea ha condannato l’Italia, con sentenza del 2 dicembre 2014, per mancati controlli sulle produzioni di latte bovino in diverse regioni. Basta verificare il numero dei parti annuali di bovine da latte per avere idea di quanti capi realmente producono latte in Italia e quanto latte possano realmente produrre. Perché senza vacche non si fa il latte e non basta un Modello L1!”, conclude Cova.

 

Roma, 21 ottobre 2015