News dal Parlamento

Farmaci meno costosi per i nostri “amici”

Sono lieto di aprire questa news con la mia prima proposta di legge. È una richiesta solo apparentemente tecnica, ma rivolta, alla fine, a tutti coloro che hanno o vorrebbero un animale da compagnia o un cavallo senza doversi svenare per poterlo curare e tenere in salute, fatto che spesso li dissuade dal prendere con sé un piccolo amico. Nel documento chiedo la modifica dell’articolo 10 di un decreto legislativo del 2006, in materia di uso di medicinali in deroga per il trattamento veterinario di animali non destinati alla produzione di alimenti.

L’obiettivo è di consentire una riduzione della spesa sanitaria per i proprietari di tutti quegli animali che chiamiamo, appunto, di affezione. E quindi, così come avviene per le persone e i loro medici curanti, anche per i nostri amici il veterinario deve essere svincolato da obblighi di prescrizione di determinati farmaci e deve poter ricorrere al principio attivo anche di un farmaco ad uso umano.

La limitazione può essere giustificata solo in caso di animali da reddito, perché in questo caso è potenzialmente in gioco la salute dei cittadini, ma non certo per gli animali da compagnia. Per il resto non si capisce perché chi vuole tenere con sé un piccolo amico – e penso anche agli anziani cui fa tanta compagnia, ma spesso vivono di pensioni minime – debba spendere per curarlo più di quanto potrebbe essere necessario, quasi a suggerire che la salute dell’animale da compagnia sia solo per chi può investire in farmaci costosi e quindi può permetterselo.

Oggi, in linea di massima, è così: il costo è estremamente rilevante e le difficoltà di accesso alle cure da parte dei proprietari meno abbienti sono state più volte portate all’attenzione dell’opinione pubblica in questi anni.

Nella mia proposta di legge metto a confronto l’attuale normativa per dimostrare che se valutiamo la cura dell’animale sotto il profilo della corretta applicazione dei principi scientifici, ovvero in termini di riduzione della sofferenza e possibilità di cura più efficace, nonché meno costosa per il principio di contenimento della spesa, appare evidente che la ricerca scientifica internazionale è già arrivata alla conclusione che sono sufficienti i “farmaci espressi in termini di molecola farmacologicamente attiva”. Il medico veterinario ha quindi tutti gli strumenti per formulare scelte razionali e rispondenti a precisi criteri scientifici, sotto il profilo delle più avanzate conoscenze, potendo anche far risparmiare il cittadino. Non ha più ragione d’essere, dunque, che sia obbligato a prescrivere, prima di tutto e in via preferenziale, ciò che il mercato gli me tte a disposizione.

Quattro anni a chi depista

Con 351 sì, 50 no e 26 astenuti, alla Camera abbiamo approvato, in prima lettura, la proposta di legge diretta a introdurre nel nostro ordinamento – riscrivendo di fatto l’art. 375 del Codice penale – il delitto di inquinamento processuale e depistaggio. Il provvedimento passa ora all’esame del Senato.

Ad oggi, il nostro ordinamento non prevede questo reato specifico, ma una serie di altre disposizioni che puniscono in vario modo la condotta di colui che intralcia la giustizia, indirizzando su una falsa pista le indagini penali svolte dall’autorità giudiziaria. Si pensi alla falsa testimonianza, alla calunnia e all’autocalunnia, al favoreggiamento, al falso ideologico, alle false informazioni al Pubblico ministero, alla frode processuale: si tratta, analogamente al depistaggio, di comportamenti volti, con diverse modalità, a ostacolare l’acquisizione della prova o l’accertamento dei fatti nel processo penale.

Il nuovo delitto di inquinamento processuale e depistaggio punisce con la reclusione fino a 4 anni chiunque compia un’azione finalizzata a impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale. Sarà punito, dunque, chiunque modifica il corpo del reato o la scena del crimine, distrugge, occulta o altera prove, oppure crea false piste.
Quando a depistare è un pubblico ufficiale, la pena aumenta da un terzo alla metà. L’inasprimento di pena (da 6 a 12 anni) scatta anche qualora il reato riguardi processi per stragi e terrorismo, mafia e associazioni segrete, traffico di armi e materiale nucleare, chimico o biologico, o altri gravi delitti come la tratta di persone e il sequestro a scopo estorsivo. Se la condanna supera i 3 anni si applica l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Sì al benessere animale

Questa settimana è stata approvata la mia mozione sul benessere animale che avevo illustrato già qualche giorno fa, in Aula. Come ricorderete, questi atti di indirizzo sono stati decisi nell’ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea, per la tutela dei diritti degli animali.

Il Sottosegretario alla Salute ha dato il parere del Governo e, per quanto riguarda la mia mozione, è stata fatta una modifica, da me accettata, che va verso la prevenzione del randagismo, ponendo come fondamentale la sistemazione delle cucciolate e il controllo delle nascite.

Nel mio intervento ho toccato i punti focali dei temi legati al benessere animale: l’importanza dei centri di referenza nei singoli Paesi membri affinché forniscano dati certi e scientifici, la formazione a partire fin dai più giovani, la promozione del concetto di proprietà dell’animale, la sensibilizzazione propedeutica per avere degli adulti consapevoli che non maltratteranno o abbandoneranno gli animali, lo stop all’importazione illegale di cuccioli.

Ho chiesto anche di vietare le adozioni internazionali di cani e gatti che spesso presentano zoonosi ed evidenti segni clinici di malattie che rischiano di diffondersi su larga scala. E per il randagismo di cercare di aumentare l’identificazione degli animali, attraverso i chip. Il mio obiettivo è quello di arrivare a svuotare i canili, accompagnando le cucciolate e attuando le sterilizzazioni.

La mozione impegna anche a superare gli stabulari per la ricerca, riducendo e sostituendo gli animali nelle strutture scientifiche.

Se vuoi vedere il mio intervento clicca sul link

F35 ridotti a metà

Tra le mozioni approvate questa settimana in Aula, di particolare importanza quella che impegna il Governo a riesaminare il programma di acquisto degli F35 e a dimezzare il budget previsto. Il documento, che ha ottenuto 275 voti favorevoli, 45 contrari e 152 astenuti, da una parte razionalizza le risorse destinate agli F35, dall’altra dimostra che è compito del Parlamento decidere, così come ha stabilito la Riforma sui sistemi d’arma, approvata alla fine della scorsa legislatura. La mozione, dunque, è coerente con un percorso di revisione dello strumento militare e con i rigorosi vincoli di bilancio imposti dalla crisi.

Tant’è che l’impegno chiesto al Governo è di ricercare ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali, allo scopo di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici. Faccio presente, in questo senso, che il lavoro attualmente previsto per il partner italiano porterà a un’occupazione pari a circa 1.500 addetti diretti, che, includendo l’indotto, porterà a un totale di 6.500 unità.

La rivoluzione del cognome

È una notizia che potrebbe sembrare di costume per noi italiani, abituati come siamo a riconoscerci in una discendenza prettamente paterna. Ma in molti Paesi europei, penso alla Spagna, non è mai stato così. Adesso, invece, anche in Italia sarà possibile assumere anche il cognome della madre o di entrambi. Alla Camera abbiamo approvato (con voto segreto: 239 sì, 92 no, 69 astenuti) la proposta di legge che modifica radicalmente la disciplina e, di conseguenza, appunto gli usi e i costumi della Penisola.

In questo modo non abbiamo solamente risposto a una richiesta che poteva nascere dall’esigenza di una parte della popolazione e riconosciuta anche da sentenze della Corte costituzionale o della Cassazione, ma anche alla bacchettata della Corte europea dei diritti dell’uomo che pochi mesi fa ha condannato l’Italia per violazione del principio di uguaglianza uomo-donna.

Adesso, dunque, alla nascita il figlio potrà avere il cognome del padre o della madre o di entrambi. Decidono loro e se non si trova un accordo, il neonato prenderà i due cognomi in ordine alfabetico.

Altra grande novità è che la stessa regola vale per i figli nati fuori dal matrimonio e riconosciuti dai due genitori. Se, poi, il riconoscimento dovesse arrivare in un secondo momento, il cognome del “nuovo” genitore si aggiunge solo se vi è il consenso dell’altro e dello stesso minore che abbia almeno 14 anni. La legge varrà anche per i figli adottivi e chi ha già due cognomi potrà trasmetterne al figlio soltanto uno. Potrebbe trattarsi di una vera rivoluzione, perché basterà essere maggiorenni e fare una dichiarazione allo Stato civile per aggiungere il cognome mancante.