News dal parlamento

 

 

Il vero volto del Jobs Act

Alla fine i voti favorevoli sono stati 316 e voglio anche rivelarveli in dettaglio: 250 del Pd, 22 di Scelta civica, 16 di Ncd, 14 del Misto, 12 di Popolari per l’Italia, 1 della Lega, 1 di Fratelli d’Italia. E così, in prima lettura, alla Camera abbiamo approvato la legge delega al Governo in materia di “Riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”, quello che da tutti è conosciuto come Jobs Act.
Ma soprattutto, per l’intera settimana l’approvazione della legge delega sul lavoro ha occupato buona parte delle vicende politiche, in particolare riferite a ciò che stava avvenendo all’interno del Pd. Mi spiace pensare che questa vicenda passerà solo come una delega sull’art. 18, mentre, appunto, ci sono molti altri capitoli che avranno risvolti importanti per i lavoratori.
Entro immediatamente nel tema dicendo che ho votato a favore della legge proprio per i tanti aspetti positivi e provo a enunciarne alcuni: riduzione delle forme contrattuali a tempo determinato; agevolazioni per favorire l’assunzione a tempo indeterminato; estensione degli ammortizzatori sociali anche ai lavoratori a tempo determinato che ora non ne beneficiano; estensione delle garanzie alle donne in maternità che lavorano a tempo determinato; blocco dei licenziamenti in bianco; possibilità di scambio di ore lavorative e giorni di ferie tra lavoratori; revisione del sistema delle politiche attive per i lavoratori in cassa integrazione.
Sul tanto discusso articolo 18, invece, sono state introdotte modifiche e il reintregro in caso di discriminazione. Voglio precisare che chi già beneficia dell’art 18 continuerà ad usufruirne, mentre saranno solo i nuovi contratti a tempo indeterminato che avranno le tutele crescenti.

Clicca su jobsacttesto preparato dal Gruppo Pd della Camera

Una manovra che parla di numeri

In queste ore, dopo il voto di fiducia, abbiamo approvato, in prima lettura, la Legge di Stabilità, cui seguirà il Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2015 con il bilancio pluriennale per il triennio 2015-2017.
Sinteticamente, spiego di cosa si tratta. Il bilancio di previsione è il principale documento contabile per l’allocazione, la gestione e il monitoraggio delle risorse finanziarie dello Stato. È un atto con forma di legge, con cui ogni anno il Parlamento autorizza il Governo a prelevare e utilizzare le risorse pubbliche nella propria attività amministrativa. Assieme alla legge di stabilità compone la manovra triennale di finanza pubblica, ossia le misure necessarie a raggiungere gli obiettivi programmatici indicati nel Def, il Documento di economia e finanza.

Cosa c’è, dunque, nella manovra della legge di stabilità 2015? La conferma del bonus Irpef di 80 euro, l’esclusione della componente lavoro dall’Irap, la totale decontribuzione per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, la temporanea possibilità per i lavoratori del privato di scegliere di avere in busta paga un anticipo del Tfr, una riduzione di tasse e contributi su imprese e famiglie che nessun Governo ha mai fatto in queste dimensioni, le misure di spending review, il rafforzamento della lotta all’evasione fiscale.
Complessivamente, gli interventi ammontano a circa 32,4 miliardi di euro per il primo anno, a 45,8 miliardi nel 2016 e a 46,3 nel 2017. E, ripeto, delle misure contenute nella legge di stabilità beneficeranno innanzitutto i cittadini, le famiglie e le imprese, dunque, l’intera economia.
Per quanto riguarda il bilancio dello Stato, l’avanzo passa da 40,5 miliardi di euro nel 2015 a 67,3 nel 2016 e 74,9 miliardi nel 2017. Il risparmio pubblico (la somma delle entrate tributarie ed extra-tributarie diminuita delle spese correnti) mostra valori positivi e crescenti con un più 6,5 miliardi a partire dal 2016 e 10,4 nel 2017.

Cani, mai più randagi

Ho finalmente depositato la mia proposta di legge di modifica della precedente norma sul randagismo, risalente al 1991, intitolata “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo e introduzione per i proprietari e per i detentori dell’obbligo di sterilizzazione dei cani”.

Se la norma del ‘91 ha segnato un passo importante e significativo nella lotta al randagismo e alla sua prevenzione, rimane però, a oggi, un fatto: il sistema dell’anagrafe canina non ha ancora raggiunto il suo pieno funzionamento e questo lascia ancora delle zona d’ombra che consentono l’abbandono dei cani. Dal canto loro, gli enti locali, che devono applicare la legge, hanno riscontrato diverse difficoltà e il fenomeno del randagismo sta creando problemi importanti alle amministrazioni comunali. Quindi servono forme di prevenzione più efficaci rispetto a quelle attuali.
Il cuore della mia proposta sta, perciò, nella promozione della sterilizzazione dei cani di proprietà, che consentirebbe di limitare il numero dei cuccioli potenzialmente abbandonabili. Se, invece, non si vuole ricorrere a questa pratica per il proprio animale d’affezione, i proprietari versino un contributo – dice la mia legge – che vada a sostegno delle amministrazioni, le quali lo useranno per la prevenzione al randagismo, con una piena vigilanza sui cani, e per l’incentivazione dell’anagrafe canina che, come sapete, prevede l’inserimento dei microchip.

Se passa questa norma si potrebbe favorire lo svuotamento dei canili. Oltre che migliorare enormemente il benessere degli animali, che potrebbero tornare a una vita normale e ritrovare una casa calda e dei nuovi “amici”.

Chi paga l’Imu e chi incontra il lupo

Ho aderito ad alcune interrogazioni rivolte al Ministro delle Politiche agricole. La prima chiede di rivedere il criterio per l’applicazione dell’Imu nelle zone montane o svantaggiate al di sotto dei 600 metri. A quanto pare, gli unici terreni veramente esenti dal pagamento della tassa saranno quelli situati nei comuni che hanno un’altitudine di almeno 600 metri, mentre tra i 280 e i 600 saranno esentati solo i terreni posseduti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali, e sotto i 280 metri tutti dovranno pagare l’intera imposta per il 2014. Se fosse effettivamente così, ad esempio, in provincia di Viterbo l’esenzione totale sarebbe eliminata in 58 comuni su 60, per effetto dell’applicazione del solo criterio altimetrico. Ma il concetto di zona svantaggiata non può riferirsi solo alla quota in cui si trova il Comune. L’interrogazione chiede, perciò, al Ministro se non ritenga opportuno che siano presi in esame altri parametri di svantaggio, come i dati socio- economici dei territori interessati.
L’altra interrogazione riguarda un tema che per l’agricoltura e l’ambiente sta diventando piuttosto importante. Si tratta della rinnovata presenza in Italia di esemplari di lupo e dell’impatto che ha sull’altra fauna, anche di allevamento, e sull’agricoltura, appunto.
Il documento chiede, perciò, quali siano i dati in possesso del Governo sulla consistenza della specie protetta del lupo sul territorio nazionale, quale sia l’andamento demografico della popolazione dei lupi negli ultimi anni e quali siano le perdite ufficiali per l’agricoltura attribuite all’azione di questi animali. Ma anche quali misure di tutela della biodiversità e delle attività agricole e di allevamento, siano attualmente in essere e come, in caso, intenda agire il Governo.

Nitrati: non è solo “colpa” dell’agricoltura

In Commissione Agricoltura della Camera abbiamo approvato una risoluzione sul processo di revisione della direttiva europea in materia di inquinamento da nitrati. Il documento impegna il Governo a promuovere il processo di revisione della direttiva sulla base dei dati scientifici oggi disponibili e dei monitoraggi effettuati, tramite lo studio di Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ma chiede anche di tenere conto dell’analisi delle fonti di inquinamento da nitrati distinguendo la responsabilità del sistema agricolo rispetto a quella dei sistemi civili e industriali. Il dubbio è, cioè, che la colpa non sia solo delle lavorazioni effettuate nelle campagne, ma anche, in larga parte, da una situazione di inquinamento generale al limite del collasso. E ce lo dice proprio lo studio di Ispra che le fonti zootecniche di inquinamento sono minoritarie rispetto alle altre.

Mi piace anche ricordare che la risoluzione prevede una sorta di premialità per gli agricoltori virtuosi, quelli che cioè dimostrino di adottare buone pratiche per innalzare l’efficienza dell’azoto e di somministrarne quantitativi efficienti e commisurati al fabbisogno delle colture.

Paolo Cova