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Sterilizzi, o paghi le tasse

Alla ripresa dei lavori in Aula, questa settimana, sono stato tra i primi a intervenire, un giorno di seguito l’altro, su due temi che mi stanno particolarmente a cuore: la lotta al randagismo e l’origine dei prodotti di origine suinicola.

Sulla prima questione non ho dubbi: per evitare il fenomeno degli animali di affezione abbandonati – sapeste che picchi nei mesi dopo Natale! –, il proprietario deve procedere alla sterilizzazione. L’alternativa è provvedere a contribuire economicamente, attraverso il versamento di un contributo a sostegno degli enti locali che in questo modo possono mantenere i canili.

Questo principio, contenuto nella mia mozione sul benessere animale, parte dall’importante rapporto tra uomini e animali. Ricordiamoci che l’Unione europea li considera esseri senzienti: ecco perché è importante accrescere, a partire dai più giovani, il concetto di proprietà responsabile di questi nostri “amici”, che se non viene capito completamente porta, appunto, ai fenomeni di randagismo.

Ho scritto nel documento ciò che è stato fatto in questi anni per il benessere degli animali da reddito in termini di investimento da parte degli allevatori, ma a loro bisogna fornire dati tecnici coerenti, scientificamente supportati e uniformi sulle buone pratiche animali.

Relativamente alla sperimentazione su animali è necessario trovare forme diverse e alternative di ricerca. L’Unione europea deve incentivare altre modalità e lo può fare.

Infine, il commercio degli animali da affezione: bisogna fare chiarezza sulle norme, perché il traffico di cuccioli avviene in età così prematura che il tasso di mortalità è altissimo. Ma i primi a dover capire che non si chiedono bestiole così giovani, siamo noi, con un’educazione che deve partire dai più piccoli e dai giovani.

Infine, ho sollecitato un intervento del Ministero di Grazia e giustizia sul problema dell’affidamento degli animali posti sotto sequestro. Sappiate che quelli maltrattati vengono spesso affidati allo stesso proprietario che è stato crudele con loro. Un assurdo.

Se vuoi vedere il li video del mio intervento clicca su questo link https://www.youtube.com/watch?v=8mbu_zT83q0

 

Il prosciutto va “allevato” in Italia

Tratta della qualità dell’agroalimentare l’interrogazione cui mi è stata data risposta il giorno dopo la mozione e in particolare dell’origine dei prodotti derivati dalla carne di suino, come i noti e pregiati prosciutti di Parma e San Daniele.

In sostanza, sostengo che non basta un’etichetta per dare a un prodotto alimentare, in particolare se si tratta di carne suina, il marchio dell’italianità: è assolutamente necessario che quell’alimento abbia davvero una filiera tutta italiana. Il Governo, per voce del Vice Ministro, ha spiegato tutti gli interventi avviati sull’etichettatura, per assicurare i consumatori sulla reale provenienza delle carni. Sicuramente sono provvedimenti importanti, ma dal mio punto di vista timbri e marchi non sono sufficienti. Oggi, la carne suina lavorata e trasformata in Italia è di 2milioni 300mila tonnellate l’anno e di questi un milione arriva dall’estero. Quindi, più del 40% proviene da altri Paesi, poi però il lavorato viene immesso sul mercato come carne italiana. D’altra parte, l’industria della trasformazione ha necessità di avere grandi quantità di ca rne suina.

Eppure, si sa che un maiale cresciuto nella pianura padana o in Germania ha caratteristiche diverse, un’alimentazione diversa. Allevare un suino a Parma o a San Daniele o in Umbria non è la stessa cosa che farlo all’estero e macellarlo in Italia: cambiano il clima, la conformazione del suolo, i metodi di produzione. Sono passaggi fondamentali: la tipicità italiana non può essere bypassata con un’etichetta o un marchio.

Al termine della discussione, non mi è rimasto che invitare il Ministero dell’Agricoltura a stringere un accordo all’interno della filiera che darà un valore aggiunto a tutta la nostra produzione e farà davvero guadagnare il mercato.

Se vuoi vedere il video del mio intervento clicca sul link https://www.youtube.com/watch?v=hHt1F9-scAU

 

L’eredità è un pezzo di fiume

Come avevo preannunciato, ho partecipato all’incontro sul tema “Agricoltura metropolitana tra natura, ambiente e società”, in programma alla festa del Pd milanese, al Carroponte di Sesto San Giovanni.

Nel mio intervento ho ricordato alcuni passaggi fondamentali dell’agricoltura di oggi: ad esempio, una rinnovata insufficienza alimentare che ha spinto i governi a decidere per l’eliminazione delle quote e a ridurre una politica di coltivazione intensiva a favore di quella estensiva. Così, di conseguenza, anche la nuova Pac spinge non più per la monocoltura, ma per una diversificazione della produzione. Insomma, una visione radicalmente cambiata rispetto a quella di qualche anno fa e che chiama in causa in modo diretto anche Milano e la sua provincia, considerato che sono tra i primi territori agricoli d’Italia. E non da ultimo, visto che tra poco saranno la sede di un Expo tutto improntato alle tematiche dell’agroalimentare.

A fronte di questo, la vera sfida è la tutela della nostra terra, aggiungendo il greening, avendo un occhio di riguardo per i temi dell’ecologia, premiando chi persegue questo stile non solo di vita, ma anche di coltivazione. Perché è certamente più facile disfarsi della proprietà, piuttosto che andare avanti con fatica e coltivare secondo certe regole o dovendo stare alle imposizioni che spesso vengono dall’Europa. Dobbiamo anche ricordarci che ciò che lasciamo di più importante alle future generazioni, è l’ambiente, quindi le montagne, i corsi d’acqua (l’esempio che ho portato è stato il Seveso, cui il consumo di territorio ha strappato la rete di canali di sfogo costruita nei tempi), le coste, le immense pianure. Che sono la nostra vera, profonda eredità.

 

 

Paolo Cova